Da
"Salute Europa" del 21 Maggio 2001
Colliri: grido
di allarme di allergologi ed oftalmologi Grido
di allarme di allergologi e oftalmologi sulla composizione dei colliri, nei
quali, spesso, possono entrare conservanti rischiosi per ‘la vista’.
Questo rischio si può presentare, soprattutto quando i colliri vengono
scelti sul banco dei cosmetici, invece di farseli prescrivere dal medico
opportuno.
Nei colliri, infatti, si trovano ufficialmente
due noti provocatori specifici d’allergie: il
cloruro di benzalconio, con cui, sotto controllo medico e con le
dovute cautele si può collaborare, e il thimerosal alias merthiolato
alias etilmercurio tiosalicilato di sodio.
Che fare dunque per essere
tranquilli? Innanzitutto, prima di instillarsi qualcosa negli occhi, darne
la responsabilità al Medico oculista, quand’è il caso affiancato dall’Allergologo,
e ricordarsi che i cosmetici vanno messi intorno agli occhi, mentre
all’interno solo i farmaci.
Importante conoscere, poi, che oggi la
ricerca farmaceutica ha messo a punto - utilizzando al meglio la tecnologia
delle membrane filtro semipermeabili - un nuovo boccettino di collirio che
lascia uscire a una dose per volta giusto il farmaco puro, trattenendosi
invece dentro i necessari conservanti: così si conserva tranquilla la
vista.
Il problema investe in particolar
modo il mondo pediatrico. Infatti, studi epidemiologici condotti in diversi
Paesi occidentali hanno dimostrato che ormai circa il 25% della popolazione
pediatrica soffre di allergie. In oltre la metà (50-60%) di
questi casi sono coinvolti specificamente gli occhi: infatti più del 30% di
questi giovanissimi pazienti presenta una sintomatologia tutta oculare,
mentre nell’altro 20-30% assieme alla congiuntivite vengono ad associarsi
pure sintomi respiratori, specie di tipo rinitico.
"Benché la situazione genetica del paziente giuochi un ruolo
fondamentale nella determinazione delle congiuntiviti allergiche,
adesso agli specialisti è altrettanto noto che l’inquinamento
atmosferico può rappresentare un indubbio fattore favorente – ha
affermato il prof. Nicola Principi, Direttore Clinica Pediatrica I, Ist.
Clinici Perfezionamento; Università di Milano, nel corso di un recente
incontro svoltosi a Milano.
L’esposizione ai vari inquinanti, che possono creare stati infiammatori/flogistici
a carico di tutte le superfici mucose del corpo – congiuntive-congiuntiviti
comprese – permette, infatti – ha proseguito Principi - attraverso i
tessuti corporei infiammati/’arrossati’/dilatati, un’assai più
facile penetrazione di vari allergeni/antigeni: favorendo così la
sensibilizzazione dell’organismo ed il successivo instaurarsi e
manifestarsi di tutte queste patologie.
Ciò è ben dimostrato da quanto registrato nei Paesi industrializzati, dove
l’incidenza di allergie, incluse quelle con estrinsecazione oculare, è
andata aumentando in modo puntualmente parallelo all’incrementarsi delle
situazioni di inquinamento. Fenomeno che nei bambini è apparso pure più
evidente poiché, avendo ancora strutture non completamente mature ed una più
facile penetrabilità dei tessuti corporei superficiali (epiteli), il
loro rischio è ancor maggiore. Di qui la necessità di un’adeguata
prevenzione e della messa in atto delle più opportune misure di protezione.
Il conservante al mercurio (thimerosal/mertiolato:
al secolo sodio etilmercurio tiosalicilato), che nelle vaccinazioni
li ipersensibilizzava appena nati, dopo una ventina d’anni di studi, da
tre-quattro è sparito dai vaccini, mentre è ancora ampiamente usato nei
colliri, nelle soluzioni per pulire/conservare le lenti a contatto, nelle
‘lacrime artificiali’ etc."
"E’ ormai ampiamente dimostrato
che l’incidenza delle malattie allergiche – oculari comprese - è
maggiore nelle aree urbane rispetto a quelle rurali, e nei Paesi industrializzati
occidentali piuttosto che nell’Europa dell’Est – ha evidenziato il
Prof. Stefano Bonini, Professore Associato di Clinica Oculistica
all’Università di Tor Vergata e Direttore Scientifico della Fondazione
G.B.Bietti per l’Oftalmologia di Roma.
"Tra i maggiori inquinanti/irritanti
che non hanno ‘un occhio di riguardo’ – ha proseguito -
troviamo vari componenti dei gas di scarico delle auto, il fumo
voluttuario domiciliare e l’ozono atmosferico: tutti agenti che
determinano un aumento di tutte le manifestazioni cliniche
dell’irritazione/infiammazione, facilitando il compito dell’allergia.
L’occhio, ed in particolare la sua superficie, sono però normalmente in
grado di difendersi dagli stimoli nocivi esterni, grazie ad un complesso
sistema di anticorpi, cellule, enzimi e sostanze proteiche appropriati: in
questo sistema difensivo pure le lacrime svolgono un proprio ruolo
importante, in quanto servono a rimuovere/far scivolar via dalla superficie
oculare quanto con essa venga a contatto.
La risposta difensiva si traduce
clinicamente nell’"occhio rosso" che è uno dei
principali segni di ‘allarme’ oculare, comune peraltro a molte
malattie di natura infettiva, tossica o metabolica, comunque espressione
di una infiammazione in atto, comunemente definita congiuntivite.
In tale situazione di iperreattività
congiuntivale le alterazioni dell’ambiente determinano un ulteriore
aumento della sintomatologia. Capita, infatti, frequentemente di osservare
che molte forme di allergia oculare migliorano sensibilmente dopo pur
occasionali soggiorni in montagna, probabilmente per le migliori condizioni
di più ‘elevata pulizia’ atmosferica.
Nella maggior parte dei casi le allergie
oculari non provocano una riduzione permanente della vista
anche se in circa 4 casi su cento residua un danno funzionale.
L’uso di colliri antinfiammatori
e antiallergici – ha concluso - è in grado di migliorare notevolmente la
sintomatologia, anche se è necessario che la prescrizione e
somministrazione avvengano su consiglio e controllo medico specialistico,
soprattutto per la possibile insorgenza di effetti collaterali da
uso improprio di prodotti impropri".
I risultati dell’indagine conoscitiva condotta nel 2000 dalla IMS-Informazioni
Medico Statistiche-HEALTH, con il coinvolgimento di medici di
medicina generale e specialisti (oculisti e otorinolaringoiatri), che ha
portato all’osservazione ben 2.423.000 soggetti affetti da
rinite allergica ed 815.000 con congiuntivite, ed illustrata nel corso
dell’incontro dal Prof. Renato Corsico, Docente di Allergologia e
Immunologia Clinica presso l’Università di Pavia, ribadiscono
l’importante ruolo delle patologie allergiche sostenute da allergeni
aerodiffusi, soprattutto se valutato nel quadro più generale, che in questi
ultimi anni ha visto il verificarsi di un elevato incremento delle
allergopatie nei Paesi a sviluppo socioeconomico più elevato.
"Occorre che queste conoscenze –
ha sottolineato il prof. Corsico - trovino una traduzione nelle scelte che
noi Medici siamo chiamati ad effettuare nella nostra attività quotidiana,
sia ai fini preventivi che diagnostici e terapeutici.
Dobbiamo avere presente che molti
soggetti risultano sensibilizzati a più allergeni e presentano una
sintomatologia che comprende una stagionalità molto estesa. Perché, anche
se è vero che la manifestazione sintomatologica può risultare di breve
durata, dobbiamo ricordare che, nei tessuti ove è avvenuta la reazione
allergica, il processo infiammatorio tende a prolungarsi nel tempo dando
vita a quell’effetto, denominato "priming", che è responsabile
di un abbassamento della soglia di reattività e predispone il medesimo
organo od apparato a manifestare nuovamente i sintomi anche in presenza di
stimoli non particolarmente elevati.
Questo stesso effetto "priming"
gioca un ruolo estremamente importante nel giustificare anche l’elevata
reattività nei confronti di stimoli non allergici, rappresentati più
frequentemente da componenti chimici dell’inquinamento atmosferico.
Dobbiamo infatti sottolineare ancora una volta come i soggetti residenti
nelle aree urbane manifestino più frequentemente la cosiddetta
"pollinosi" ad ogni fascia di età ed indifferentemente dal sesso,
rispetto ai soggetti residenti nelle aree rurali, dove i pollini sono
sicuramente più comuni, abbondanti e diffusi.
Le interpretazioni di questo fenomeno non
sono univoche: la diversa prevalenza delle allergopatie respiratorie nei
Paesi a differente sviluppo socioeconomico è stata spesso attribuita al
processo di "occidentalizzazione" impresso allo stile di vita.
Si deve ricordare che il massimo incremento della diffusione delle malattie
allergiche si è riscontrato dopo il grande incremento del traffico
autoveicolare verificatosi negli ultimi decenni e che le malattie allergiche
respiratorie (in particolare quelle sostenute da pollini allergenici)
risultano maggiormente incrementate nelle città con notevole inquinamento
atmosferico, determinato soprattutto dalle emissioni del traffico veicolare.
Tra le osservazioni più autorevoli
sull’argomento sono da ricordare quelle del gruppo di Ishizaki, che ha
osservato che rinocongiutiviti ed asma da allergia a pollini del cedro
giapponese sono molto più frequenti nei residenti nei centri urbani che non
fra coloro che vivono nelle aree più vicine ai boschi di cedro giapponese,
ove si riscontrano, ovviamente, concentrazioni atmosferiche di polline molto
più elevate.
I possibili meccanismi con cui gli
inquinanti chimici agiscono nell’incrementare la flogosi allergica sono
molteplici e si è anche visto che, oltre che agire indirettamente,
inducendo una risposta infiammatoria che rappresenta un adiuvante
all’azione degli antigeni pollinici, possono anche agire direttamente sui
pollini, modificando e potenziandone il contenuto antigenico.
"Per garantire la asetticità delle
preparazioni oftalmiche contenute nei flaconi contagocce – destinati ad
essere maneggiati e aperti-richiusi più volte – ha affermato il Prof.
Maurizio Rolando, del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Visione
dell’Università di Genova - al preparato farmacologico viene aggiunta una
sostanza ad azione antibatterica, con funzioni di conservante.
Tali sostanze non si limitano comunque alla sola azione antisettica, ma
posseggono una tossicità che, oltre a esprimersi contro gli agenti
microbici, in particolari concentrazioni si svolge anche a carico delle
cellule di rivestimento della superficie oculare. Questa attività epiteliotossica
dei conservanti è giustificata dalla necessità di superare lo
sbarramento biofisico costituito appunto dell’epitelio, e migliorare così
la penetrazione del principio attivo all’interno dell’occhio.
In realtà i problemi nascono nelle terapie a lungo termine, come quelle
necessarie ai pazienti con allergie, sindromi dell’occhio secco, glaucoma
ecc. Infatti il cloruro di benzalconio, ad esempio, agisce negativamente
sulla superficie oculare a diversi livelli:
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‘scompigliando’
l’architettura biochimica del film lacrimale, causando quindi
una cattiva lubrificazione oculare e conseguenti sintomi di ‘occhio
secco’ (paradossalmente questo conservante è contenuto in molte
preparazioni di lacrime artificiali, che quindi, se da un
lato riforniscono di liquidi la superficie oculare, dall’altro
alimentano il disturbo, impedendo con la propria presenza la
ricostituzione della normale architettura/funzionalità della pellicola
lacrimale.);
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scatenando
reazioni allergiche nei soggetti sensibili, e tanto peggio, se
l’occasione per ricorrere ad un collirio al cloruro di benzalconio
è già una congiuntivite allergica;
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danneggiando
la membrana cellulare degli epiteli corneali e congiuntivali . |
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Naturalmente questi fenomeni
negativi vengono potenziati quando le somministrazioni sono frequenti
nel corso della giornata (aumenta il tempo di contatto tra il conservante e
la superficie oculare), quando il ricambio lacrimale sulla superficie
oculare è rallentato da una ridotta produzione di lacrime o quando
le lacrime evaporano troppo velocemente (vento, uso di lenti a contatto,
locali fumosi, aria condizionata, scarso ammiccamento etc…).
L’uso di conservanti nei
portatori di lenti a contatto idrofile (morbide) è
particolarmente negativo per diverse ragioni:
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il conservante altera la
struttura della lente, legandosi al polimero di cui è fatta,
cambiandone così le caratteristiche di idrofilia e permeabilità ai
gas;
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assorbito nella lente il
conservante aumenta la sua concentrazione e quindi la possibilità di
esercitare fenomeni tossici;
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l’uso della lente a
contatto aumenta la evaporazione dell’acqua dalle lacrime potenziando
così la concentrazione del conservante, e i suoi effetti, sulla
superficie oculare. |
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Uno studio su volontari sani,
quindi con turnover e produzione lacrimale normali, ha mostrato che la
somministrazione frequente di un collirio conservato con cloruro di
benzalconio comporta la perdita di alcune caratteristiche delle cellule
epiteliali congiuntivali, in particolare venivano ridotte di numero le
cellule produttrici di muco, una sostanza indispensabile per la protezione
ed il mantenimento delle funzioni della superficie oculare.
Sulla base di questo studio e di altri dati della letteratura scientifica,
è quindi consigliabile che, oltre che nelle patologie già ricordate (allergie,
sindromi dell’occhio secco, glaucoma) in cui l’uso dei
conservanti appare sempre sconsigliabile, l’uso di colliri conservati
venga limitato ai casi in cui le somministrazioni non siano superiori a
quattro nel corso della giornata e per terapie che non superino la durata di
7-9 giorni. Comunque sempre sotto consiglio e controllo medico
specialistico: perché gli occhi sono abbastanza speciali". |